Dolce Forno della Harbert – Tutta Colpa del Dolce Forno!
Oggi lo so di chi è la colpa: del “Dolce Forno” della Harbert. Non mia di certo! Oggi lo so che se babbo e mamma mi avessero comprato il gioco dei miei sogni… il “Dolce Forno“, sarei diventata una pasticcera sopraffina, una cioccolataia, magari una fornaia.
Oppure no, ma sarei stata almeno in grado di stupire i palati altrui. Palati che in effetti stupisco lo stesso, non proprio facendogli un regalo però!
E’ umiliante, ma devo ammetterlo: se non ho ancora imparato ad usare correttamente il forno, ormai non imparerò più.
La colpa però (vi giuro!), non è mia. E’ tutta dei miei genitori che non hanno voluto regalarmi il Dolce Forno, l’oggetto del desiderio di eserciti di micro donne desiderose come me di diventare - domani – Perfette come le loro mamme… o almeno questa era la versione ufficiale!
Tutte le bambine mentivano spudoratamente mentre rilasciavano simili dichiarazioni occultando l’unica e sola verità: il desiderio di sporcarsi le mani inzaccherandole nel cacao, nella farina e nelle uova sbattute, spingere poi la punta della lingua nel fondo della ciotola e gustare la frolla che il cucchiaio di legno non era riuscito a raccogliere.
Ci sono cose che sa fare chiunque, tranne qualcuno. Io, in un tete-a-tete con il forno, mi metamorfizzo in “Miss Qualcuno“.
So che è facile… lo analizzo: è dotato di una manopola per la temperatura, una per il tempo e alcuni simboli per il tipo di cottura. Allora perché riesco a bruciare tutto, ma proprio tutto-tutto, qualsiasi cosa gli dia in pasto?!
Sia che accenda il grill sia che me ne guardi dal farlo; sia che imposti il loop ventilato sia che usi il vecchio caro forno a gas; sia che stia lì a piantonare la teglia immobile come uno stoccafisso impagliato sia che inserisca il timer e me ne vada in giro per casa col solo orecchio teso a percepire il driiiiiiin finale… il risultato è assicurato: un mucchietto di carcasse a sfumature di grigio più o meno riconoscibili, a seconda dei casi.
L’ho desiderato tanto, da piccola, il Dolce Forno, quel magnifico gioco creato dalla Harbert, casa produttrice di giocattoli attiva negli anni settanta e anni ottanta, che aveva il pregio d’essere poco ingombrante e facile da usare.
Soprattutto, il Dolce Forno era capace d’insegnare a migliaia di minuscole coppie di mani i segreti per mescolare, impastare e compattare torte dolci e frollini, imparando a saper aspettare (in questo caso il tempo necessario alla cottura) e poi a saper verificare la bontà dell’equazione intenzione/risultato per mezzo dell’assaggio, momento temutissimo dalla maggior parte dei genitori e probabilmente causa del mancato acquisto da parte del mio papà.
Fu lui, lo so, ad impuntarsi per il “No!”.
Oggi avrei saputo convincerlo mostrandogli i suoi punti forti: il dolce forno aveva il pregio di non consumare più dell’energia di una lampadina ad incandescenza, perché il suo calore bastava a cuocere i minuscoli dolci da gustare in tre morsi, cinque al massimo per la piccola bocca di un bimbo, due per la mia che è sempre stata grande, una per quella ingorda di papà!
La confezione aggiungeva inoltre l’occorrente per la buona riuscita: un ricettario, un misurino, delle formine e un mattarello. Non mancava niente per il mio dorato futuro di chef cinque stelle.
Ora che ci penso, i miei bruciarono in nuce anche il mio roseo futuro da gelataia!
Non ho mai ricevuto neanche il Dolce Gelato della Harbert! Vi rendete conto?!
Il Dolce Gelato era la macchinetta capace di raffreddare creme a base di latte, frutta e creatività grazie a un cilindro metallico riempito di ghiaccio e sale. Ecco!
Eppure, di regali ne ho sempre ricevuti molti. Se sbircio negli angoli luminosi della mia infanzia mi vedo in sella a una vespa rosso fiammante con tanto di batteria, infilata in un costume di carnevale da Zorro, dotata di una pistola a piombini, in equilibrio precario su pattini a quattro ruote e infine intenta a grattugiarmi le estremità col mio skateboard giallo fluo a teschi neri.
Cosa mai sarò diventata da grande, vi chiederete?
Vi lascio col dubbio, mi son sempre piaciuti parecchio i periodi ipotetici.
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